I chiarimenti dell’Agenzia delle Entrate con la risposta all’interpello n. 127/2023
Sono imponibili in Italia i compensi versati dal datore di lavoro inglese al cittadino italiano iscritto all’Anagrafe Italiani residenti all'estero (AIRE), che svolge la sua attività in smart working nel nostro Paese e risulta residente nel territorio in base alla definizione del concetto di “residenza fiscale” presente nell’ordinamento interno e nella convenzione contro le doppie imposizioni stipulata tra i due Stati. È quanto chiarisce l’Agenzia delle Entrate con la risposta all’interpello n. 127/2023.
Il caso
L’istante, un cittadino iscritto all’AIRE e residente nel Regno Unito, si è trasferito a casa dei genitori in Italia continuando a svolgere in smart working dal nostro Paese la sua attività lavorativa alle dipendenze di un datore di lavoro inglese. Fa presente di aver disdetto il contratto d'affitto del proprio appartamento a Londra e di aver richiesto al datore di lavoro il trasferimento della sede lavorativa in Italia.
Il dubbio riguarda la possibilità di poter continuare a lavorare in Italia senza trasferire la residenza: questa eventualità gli farebbe rischiare il licenziamento.
La risposta
L’Agenzia delle Entrate richiama il quadro normativo di riferimento e rimanda anche alle convenzioni bilaterali tra Italia e Regno Unito, ribadendo il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno stabilità dall’art. 169 del TUIR.
In base al Testo unico delle imposte sui redditi (Tuir), infatti, sono residenti fiscalmente in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d'imposta (183 giorni in un anno o 184 se l’anno è bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Tali condizioni sono alternative, quindi è sufficiente il verificarsi di una delle due per determinare la residenza fiscale italiana.
Con riferimento all’intesa bilaterale stipulata, invece, l’Agenzia delle Entrate premette che nei casi in cui il contribuente, in applicazione dei degli ordinamenti interni, risulta residente fiscalmente in entrambi i Paesi contraenti, la divergenza va risolta tramite criteri che, ai fini della determinazione dello Stato di residenza, danno rilievo, in primo luogo, al criterio dell’abitazione permanente. La verifica delle regole appena indicate, tuttavia, è al di fuori dei chiarimenti della risposta all’interpello.
L’Agenzia delle Entrate, sulle base delle informazioni fornite dall’istante riguardo al trasferimento della sua abitazione permanente e della sede dell'attività lavorativa dal Regno Unito all'Italia, procede con le sue considerazioni.
Emerge, dunque, che il contribuente, fatto il conto dei giorni di permanenza nei due Stati, dovrebbe essere considerato residente nel Regno Unito nel primo anno di rientro in Italia, nel nostro Paese nel periodo successivo.
Di conseguenza, con esclusione del primo anno, i redditi ovunque prodotti dal contribuente, in base alla convenzione, sono assoggettati a imposizione esclusiva in Italia seguendo le modalità previste dall’articolo 3, comma 1, del Tuir.
Fonte: fiscooggi.it
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