Escluso se il soggetto ha mantenuto la residenza fiscale italiana durante il periodo di lavoro all’estero
L’Agenzia delle Entrate è tornata sul tema dell’applicabilità del regime forfettario in caso di lavoro in precedenza prestato all’estero fornendo chiarimenti con la risposta all’interpello n. 359. In breve, mantenendo la residenza fiscale in Italia, l’aver intrattenuto un rapporto di lavoro dipendente all’estero preclude l’accesso al regime forfettario relativamente alla nuova attività svolta prevalentemente nei confronti del precedente datore di lavoro estero.
Il caso oggetto di interpello riguarda un soggetto che dal 2019 lavora come dipendente all’estero per alcune società. Nel Paese estero lo stesso ha aperto un conto corrente, affittato un’abitazione e indicato l’avvenuta presentazione dell’istanza di iscrizione all’AIRE, risultante però ancora pendente.
L’intenzione sarebbe quella di rientrare in Italia per avviare un’attività di lavoro autonomo in regime forfettario, continuando a collaborare con la società estera e per la quale risulta attualmente dipendente.
Vengono tuttavia esaminati diversi profili che precluderebbero l’applicazione del regime forfettario.
Un primo ostacolo all’applicabilità del regime forfettario deriva dalla causa di esclusione relativa all’esercizio dell’attività autonoma prevalentemente nei confronti di datori di lavoro con i quali sono in corso rapporti di lavoro (o erano intercorsi rapporti di lavoro nei due precedenti periodi d’imposta).
Tale causa ostativa risulterebbe integrata nel caso in cui il soggetto risulti fiscalmente residente in Italia grazie al mantenimento dell’iscrizione all’Anagrafe italiana. Ciò determina la tassazione anche in Italia del reddito di lavoro dipendente prodotto nel Paese estero nel 2019 e nel 2020. Sussisterebbe perciò un collegamento con l'Italia dei redditi di lavoro dipendente percepiti all’estero rappresentato dall’art. 3 comma 1 del TUIR, secondo il quale i residenti sono tassati in Italia per i redditi ovunque prodotti.
Un secondo ostacolo riguarderebbe l’ammontare lordo del reddito di lavoro dipendente percepito all’estero il quale, se superasse i 30mila euro nell’anno solare precedente, integrerebbe l’ulteriore causa ostativa prevista dalla lett. d- ter) dell’art. 1 comma 57 della L. 190/2014.
In questo caso, l’Agenzia delle Entrate non fa differenziazioni esplicite in relazione alla residenza del soggetto e ai criteri di tassazione conseguenti. Ciò potrebbe lasciare intendere l’autonoma rilevanza, ai fini della causa di esclusione, dei redditi di lavoro dipendente così considerati, indipendentemente dalla residenza del percettore o dalla territorialità del reddito.
Si potrebbe giungere a una diversa conclusione considerando che, ai sensi dell’art. 23 comma 1 lett. c) del TUIR, per i non residenti, i redditi di lavoro dipendente sono tassati in Italia se prestati nel territorio dello Stato.
L’Agenzia delle Entrate rileva poi che, se la persona è qualificata negli anni precedenti come un non residente, sussisterebbe l’ulteriore causa di esclusione “generale” prevista dalla lett. b) dell’art. 1 comma 57 della L. 190/2014 per i non residenti, e derogata solo se il soggetto ritrae in Italia almeno il 75% dei redditi complessivamente prodotti.
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