Il differente trattamento attribuito in sede successoria a conviventi e uniti civilmente ha conseguenze anche fiscali
Il differente trattamento attribuito in sede successoria a conviventi e uniti civilmente ha conseguenze anche fiscali, in particolare con riferimento all’imposta sulle successioni.
La “legge Cirinnà” (L. 76/2016) non riconosce al convivente di fatto diritti successori, fatta eccezione per il diritto di continuare ad abitare la casa di comune residenza, di proprietà del defunto, per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni, e comunque non oltre i cinque anni (secondo quanto disposto dall'articolo 1 comma 42 della legge n. 76 del 2016; in questo modo viene tutelato il diritto all’abitazione dalle pretese restitutorie dei successori del defunto per un lasso di tempo ragionevolmente sufficiente a consentite al convivente superstite di provvedere in altro modo a soddisfare l’esigenza abitativa), e per la facoltà di succedere nel contratto di locazione della casa di comune residenza stipulato dal convivente.
L’art. 1 comma 2, invece, equipara gli uniti civilmente alle coppie unite in matrimonio anche a fini successori.
“Al solo fine di assicurare l'effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall'unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell'unione civile tra persone dello stesso sesso. La disposizione di cui al periodo precedente non si applica alle norme del codice civile non richiamate espressamente nella presente legge, nonché alle disposizioni di cui alla legge 4 maggio 1983, n. 184. Resta fermo quanto previsto e consentito in materia di adozione dalle norme vigenti.” (art. 1 comma 20, sempre della L. 76/2016).
Sotto il punto di vista civilistico, questo comporta che il soggetto dell’unione sia legittimario al pari del coniuge e quindi titolare di una quota riservata dell’eredità del defunto; al convivente, invece, non è riservata alcuna quota ma può, al più, ricevere per testamento nei limiti della quota disponibile.
Dal punto di vista fiscale, il diverso status attribuito a conviventi e uniti civilmente porta all’applicazione di una diversa aliquota dell’imposta sulle successioni. I soggetti dell’unione civile possono invocare, nei rispettivi rapporti, l’aliquota pari al 4% e la franchigia di esenzione (un milione di euro) previste per i coniugi dall’art. 2* comma 48 lett. a) del DL 262/2006.
Il convivente, invece, non appartenendo a una delle categorie di cui alle lett. a), a-bis) e b) della norma, dovrebbe rientrare tra gli “altri soggetti” di cui alla lett. c) ed essere soggetto all’imposta con aliquota pari all’8% su quanto ricevuto senza la previsione di franchigia, in assenza di espressa assimilazione al coniuge o dell’esplicita previsione dell’applicazione agevolata dell’imposta.
Questa ricostruzione è stata condivisa dal Consiglio Nazionale del Notariato nella Guida “La Convivenza“ del marzo 2014. Il Consiglio evidenziava che il convivente non godesse di alcun trattamento privilegiato relativamente all’imposta di successione, venendo applicata, quindi, l’aliquota prevista per le successioni tra soggetti non legati da vincolo parentale.
Non è dello stesso parere, invece, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano (11 febbraio 2020 n. 1470/8/20) ritenendo che il soggetto, legato da un rapporto di convivenza quarantennale con la defunta, non dovesse essere trattato come terzo in ambito successorio, ma potesse invece godere dei benefici che spettano al coniuge.
Tale soluzione non pare fondata dal punto di vista giuridico, basandosi sull’assunto errato che la convivenza tra un uomo e una donna legati da un vincolo affettivo stabile sia stata assimilata dalla legge Cirinnà al matrimonio; l’equiparazione, difatti, ha riguardato solo i soggetti omosessuali uniti civilmente; pertanto, non è sostenibile una tale estensione dei benefici a favore di soggetti conviventi, seppur di lunga data.
* “I trasferimenti di beni e diritti per causa di morte sono soggetti all’imposta di cui al comma 47 con le seguenti aliquote sul valore complessivo netto dei beni:
a) devoluti a favore del coniuge e dei parenti in linea retta sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 1.000.000 di euro: 4 per cento;
a-bis) devoluti a favore dei fratelli e delle sorelle sul valore complessivo netto eccedente, per ciascun beneficiario, 100.000 euro: 6 per cento; (19) (65)
b) devoluti a favore degli altri parenti fino al quarto grado e degli affini in linea retta, nonché degli affini in linea collaterale fino al terzo grado: 6 per cento;
c) devoluti a favore di altri soggetti: 8 per cento.”
(art. 2 comma 48 del DL 262/2006)
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